Da “OK Computer” a “Screamadelica”, la storia ha dimostrato che il terzo album di una band è quando tutto inizia a diventare reale. Quando, dopo un esordio “introduttivo” e un secondo disco che sperimenta nuovi suoni, la particolare alchimia di un gruppo esce finalmente allo scoperto in un modo unico, estremamente riconoscibile; quando il chiacchiericcio e l’hype si sono calmati un attimo e tutto ciò che resta è un cocktail perfetto di fiducia reciproca, abilità e slancio verso il futuro. È una teoria che è stata dimostrata più e più volte, e che il trio di Newcastle Demob Happy sottolinea con l’ultimo disco “Divine Machines”: un terzo album che racchiude al meglio il suo delicato filo di pesantezza e melodia, dolcezza e riff, e lo cavalca fino a raggiungere un sound perfetto.
“Sono necessari livelli quasi folli di resilienza e convinzione per essere un artista, ma noi ci siamo impegnati nel corso degli anni”, inizia il batterista Tom Armstrong, mentre il frontman e bassista Matthew Marcantonio afferma: “Questa non è più musica per pub o bar, sono grandi canzoni per grandi locali”.
Infatti, da quando si sono formati più di dieci anni fa nella città natale di Newcastle, i Demob Happy hanno guadagnato piccoli e grandi traguardi step dopo step e con insistente determinazione. Hanno suonato incessantemente, basandosi sull’interesse in lenta crescita derivante dal debutto “Dream Soda” del 2015 e da “Holy Doom” del 2018, viaggiando per il mondo e andando in tournée quattro volte negli Stati Uniti, nonchè aggiungendo vari tour da band di supporto (Jack White, Royal Blood). Nel frattempo, hanno continuato ad affinare meticolosamente le loro capacità produttive, al punto da poter diventare indipendenti.
Sebbene, esteticamente, “Divine Machines” nasca da un’inclinazione fantascientifica in stile Bladerunner, dal punto di vista dei testi la band si allontana dai temi della corruzione politica e dalle distopie del mondo moderno che hanno precedentemente descritto e desidera qualcosa di più promettente, che nasce da dentro. “Vedo davvero ciò che sta accadendo alla razza umana come un momento nel viaggio di un eroe. Siamo al punto del film di James Bond in cui i cattivi si rivelano e ci raccontano il piano. Abbiamo Elon Musk e Jeff Bezos, questi supercriminali assoluti con i loro razzi che fanno quello che cazzo vogliono, e il guru del software Bill Gates che compra vaste aree di terreno agricolo per chissà cosa. Stanno tutti rivelando i loro piani all’umanità e noi continuiamo a dire: ‘Speriamo siano bravi ragazzi!’” inizia il cantante.
“Ciò di cui abbiamo bisogno è l’ispirazione per cambiare perché vinceremo questa guerra solo se il cambiamento inizia da noi. Ci sono enormi increspature di ciò nella società, ed è tutto distorto attraverso i social media, ma puoi anche vedere le persone diventare più consapevoli di loro stesse. Questo è ciò di cui volevo scrivere: ispirare quel cambiamento.
Questi grandi appelli all’empatia costituiscono il vero cuore dei nuovi Demob Happy. Dalla gigantesca, rimbombante costruzione lenta di ‘Earth Mover’ – “un grido di battaglia per la razza umana affinché si alzi dalle ginocchia” – al frizzante e irrefrenabile rock di ‘Voodoo Science’, “Divine Machines” è un album che crede veramente nel potere delle persone. ‘Tear It Down’, quasi in stile AC/DC, parla di “stroncare le bugie che la società ci ha detto e riprogrammare noi stessi per non vedere le cose in questo modo binario”, mentre si chiude con il brano ‘Hades Baby’ – registrato con un’orchestra all’attuale Abbey Road (nello Studio Due, niente meno. “Ironia della sorte, è un brano che contesta i miliardari, e l’abbiamo suonato per una sessione su Amazon. Bezos ha pagato per questo”, ridacchia Adam.
Inoltre, “Divine Machines” presenta anche alcune delle canzoni più emozionalmente morbide che il trio abbia scritto fino ad oggi. Nel suo insieme è il prodotto non solo di uno strano periodo di lavoro prolungato – sia sull’album che su sé stessi – ma di un’intera carriera trascorsa a impegnarsi, credendo instancabilmente in quello che la band sta facendo e, lentamente ma inesorabilmente, guardando il mondo iniziare a farlo assieme a lei. “Non abbiamo mai inseguito il successo, anche se siamo stati incoraggiati a farlo, ma non ci interessa farlo in quel modo. Abbiamo sempre fatto ciò che volevamo, ma ora sembra che potrebbe allinearsi con ciò che vogliono anche gli altri”.
Attivo dal 2011, il singer/songwriter modenese ED prende ispirazione dagli anni 90 (Pavement, Dinosaur Jr, Teenage Fanclub, Elliott Smith) per proporre un grunge-pop dritto in faccia. In tour dal 2023 col nuovo album “Starting Over” con Moquette Records, si porta alle spalle anni di live in giro per Italia, Europa e USA e collaborazioni con nomi illustri del panorama indipendente italiano (Beatrice Antolini, Gazebo Penguins, Maria Antonietta, Stato Sociale, Colombre e molti altri).
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